
Ci sarà senz’altro capitato, almeno una volta nella vita, di trovarci di fronte a una scatola blu di biscotti danesi.
Non una scatola qualsiasi: una tonda, di latta, e sempre immancabilmente piena di spolette, merletti, e un po’ di delusione.
Nell’immaginario più comune che c’è, la scatola blu non contiene quasi mai dolcini e, nonostante tutto, la speranza di trovarceli dentro è più forte di ogni certezza.
Per quasi tutto il secolo scorso, il tintinnio di questo scrigno in lamerino preannunciava quasi sempre l’arrivo in casa di leccornie di ogni tipo, pastiglie dolci o per la gola, amaretti, biscotti e toufee. Ma c’è stato un tempo, ancora più lontano, che le scatole di latta, prima ancora che la festa, portavano con sé tutti i gesti del quotidiano.
Fumo di Londra
Nate in Inghilterra tra i fumi bianchi di un marchingegno a vapore, le scatole di latta, così come le conosciamo oggi, fanno la loro prima apparizione nel pieno della rivoluzione industriale. Messe a punto da Pierre Durand, autorizzate da Re Giorgio III in persona, furono distribuite in tutto il Regno Unito da due industriali che intuirono presto il potenziale della nuova scoperta. Le bande in stagno, più leggere ed economiche del vetro e del legno, una volta depositato il brevetto, vennero impiegate sin da subito nella conservazione dei cibi, cibi a lunga decorrenza, tanto che i primi a testare la nuova invenzione furono i soldati della corona a cui vennero concesse in equipaggiamento per conservare sigari, alimenti e saponette. Fu un successo enorme e le scatole in latta, giorno dopo giorno, entrarono nelle case e negli empori di mezzo Regno Unito.

Meringa Marketing
In un mondo senza internet, e neppure il postal market, per scovare le novità bisognava andare di persona alle Great Expositition, fiere itineranti del domani e dell’assurdo in cui facevano la loro apparizione le invenzioni di ogni settore, compresa la scatola in latta per uso alimentare.
I primi a sfruttare il grande potere comunicativo del pacchetto metallico furono i pasticceri e i cioccolatieri dei laboratori semi-industriali, riuscendo a vedere nella scatolina un vero vettore pubblicitario!
Ingaggiarono designer e disegnatori per creare marchi e illustrazioni che personalizzassero il più possibile le confezioni dei dolci. In un niente, già nell’800 le scatolette divennero desideratissimi oggetti da collezione.
Tra le scatole più ricercate ci sono quelle dell’italiano Enrico Pagliarini, tutte fatte a mano, introvabili. Ma qui chissà che prima o poi non ne salti fuori qualcuna.
Grazie alla pubblicità o forse grazie alla bontà dei dolci a cui, diciamoci la verità, è impossibile resistere, le scatole delle meraviglie di fine pasto si diffusero moltissimo anche in Italia. Nei primi del ‘900 tutti, non solo i pasticceri, vollero imprimere meccanicamente sulle scatoline delle litografie con sopra il proprio nome. I Savoia come moderni influencer si lasciavano ritrarre sulle confezioni di dolci da boutique. Atre riportavano decoratissimi ghirigori floreali, in un tripudio di art nouveau; in alcune era presentato il prodotto, in altre ancora pensate per essere esposte e collezionate erano raffigurate battute di caccia, dame, putti angelici e bambini golosi. Le scatole in latta si adattarono a tutti gli usi e ri-usi.

Special Edition
Se l’arrivo della plastica ha decretato la fine del consumo degli imballaggi in latta, è anche vero che l’industria dolciaria non ha mai smesso di produrle, riducendone però la produzione per le sole confezioni in edizione speciale. Festività, anniversari. I collezionisti più esperti lo sanno già, le scatole più sono rare e più acquisiscono valore e dopo questa rivelazione, meglio affidarci ad alcune semplici regole per capire se ci troviamo di fronte a un oggetto storico o una scatolina di poco valore:
- compariamo lo stato di conservazione a l’anno in cui la scatola è stata immessa nel mercato;
- proviamo a risalire alla tiratura;
- verifichiamo se il marchio pubblicizzato esiste ancora;
- cerchiamo di capire se è dipinta a mano o è una litografia, se l’illustratore è noto;
- chiediamo una valutazione agli esperti del settore;
- se dopo tutte queste verifiche non siamo riusciti a valutare il nostro pezzo possiamo, allora, affidarci alla vecchia, cara, comparazione! Individuiamo la scatola che più si avvicina alla nostra e proviamo a reperire informazioni su quella, prima o poi, con calma e pazienza, l’informazione che stavamo cercando sbucherà fuori.
Un idea? Farne delle candele!
Prendete delle vecchie candele, se non le avete, provate a dare un’occhiata qui.
Badate bene che non siano profumate, aggiungeremo qualche goccia dell’essenza che più ci piace appena tolta la cera dal fuoco. Ma prima, fate sciogliere la cera a bagno Maria, a fuoco lento, e nell’attesa preparate un stoppino. Niente di tecnico, basterà un filo di spago appena più lungo del bordo della nostra scatolina.
Una volta tagliato, immergetelo, appena un secondo, nella cera ancora liquida. Una volta tirato fuori avvolgetene un’estremità ad uno stecchetto sufficientemente lungo da portelo appoggiare lungo il bordo della nostra scatola.
Affinché le candele siano sicure, accertatevi che il cordino si distanzi dal fondo del barattolo almeno un paio di centimetri. Fatto ciò, prendete la cera e versatela dentro la scatola facendo attenzione che il nostro stoppino rimanga in perpendicolare. E ora, non bisogna fare altro che attendere, una notte andrà bene, che la cera si raffreddi e solidifichi!
Alleniamo la memoria tramandando gli oggetti del passato, delle volte questi oggetti raccontano una storia, altri, invece la contengono. Abbiatene cura, e chissà che in casa vostra non si trovi una piccola scatola delle meraviglie.