
Il detto dice “A Carnevale ogni scherzo vale” ma se vi dicessimo che in alcuni posti del mondo questo significa mangiare aringhe crude alle 7 del mattino oppure venire rapiti da demoni cornuti, avreste ancora voglia di festeggiare?
Tra poco sarà Carnevale: le chiacchiere e le frittelle (di cui trovi qui la ricetta) hanno già invaso i supermercati e le pasticcerie di tutta Italia! Ma questa celebrazione non viene festeggiata nello stesso modo da tutti. Se Venezia, Viareggio e Cento li conosciamo tutti. Abbiamo anche scritto un approfondimento legato alle maschere di ogni singola città: lo trovi qui.
ci sono tradizioni segrete e curiose che noi di Radio Bakeca siamo andati a scovare: mete ideali per organizzare un bel viaggio last minute! E allora iniziamo subito questo tour da Ivrea, in Piemonte.
Il Carnevale di Ivrea
La protagonista indiscussa delle maschere di Ivrea è la Vezzosa Mugnaia: nella leggenda Violetta si ribellò, insieme al marito, allo ius primae noctis imposto dal Marchese di Monferrato che affamava la città. Insieme al resto dei cittadini, la figlia del mugnaio guidò la rivolta contro il barone: stare dalla sua parte significava combattere per la libertà.
Per questo motivo chi partecipa al carnevale, dovrebbe indossare il Berretto Frigio, un cappello rosso a forma di calza che rappresenta l’adesione alla rivolta. È proprio la Mugnaia ad aprire la sfilata dal lontano 1858: chi viene scelta deve essere sposata e la sua identità viene tenuta nascosta fino alla sera del sabato di Carnevale.
Oltre alla Mugnaia sono sempre presenti il Generale, che si occupa di mantenere l’ordine pubblico; il Sostituto Gran Cancelliere, che annota minuziosamente in un libro tutti gli avvenimenti; dieci Abbà, cioè dieci bambini scelti dalle parrocchie di Ivrea, che hanno il compito di accendere il falò nella sera del Martedì Grasso; il Podestà, che non è mai un cittadino di Ivrea, perché il suo compito è amministrare la giustizia.
La battaglia delle Arance
Durante il Carnevale la città si divide in nove squadre, simboleggiate rispettivamente da: Tuchini, Mercenari, Diavoli, Pantere, Credendari, Scacchi, Arduini, Picche e Morte. Per rievocare il gesto e la battaglia della Mugnaia, gli Arancieri a piedi danno vita alla Battaglia delle arance, lanciandosi da terra e dai carri vere e proprie arance (vi lasciamo immaginare il profumo… e i lividi).
La tradizione forse vi ricorderà, per sentito dire, quella festa spagnola in cui c’è la battaglia dei pomodori. Questa però si tiene l’ultimo mercoledì di agosto, quindi con il Carnevale non c’entra nulla. Però noi passiamo da un cibo all’altro e infatti dalle arance arriviamo al Gnoco.

Come si festeggia a Verona
Verona ha infatti una tradizione tutta sua. Il nome originale del Carnevale era e’Bacanàl del Gnoco. Durante la carestia degli anni 1520-1531, dovuta alle inondazioni dell’Adige e alle incursioni dei Lanzichenecchi, Tomaso Da Vico, un medico veronese, si occupò di distribuire viveri ed alimenti alla popolazione del quartiere di San Zeno.
La materia prima però cominciava a scarseggiare e i fornai, lavorando troppo per guadagnare pochissimo, smisero di fare il pane. La popolazione insorse il 18 giugno 1531 dando l’assalto ai forni.
La rivolta fu però scongiurata grazie ad alcuni cittadini che, a proprie spese e insieme a Da Vico, rifocillarono gli abitanti più poveri. Queste distribuzioni venivano chiamate “e’Bacanàl del Gnoco” e i veronesi ricevevano pane, farina, burro, formaggio e vino.
Passata la carestia, Da Vico fece scrivere nel suo testamento che la tradizione andava mantenuta: 12 persone tra i più abbienti della città venirono elette ogni anno con il compito, nel venerdì precedente la quaresima detto Venerdì Gnocolar, di distribuire viveri. Se andate oggi a Verona nella piazza San Zeno, trovate il tavolo in pietra dedicato a Tommaso Da Vico su cui venivano elargite le donazioni.
Il Papà del Gnoco
Per ricordare oggi la figura di Da Vico, a Verona ogni anno si elegge il Papà del Gnoco: nei mesi precedenti il Carnevale, il candidato forma il suo clan con un segretario, un economo e una cerchia di galoppini fidati. Ogni candidato deve avere una sede fissa (il bar del rione) e deve presentare la sua lista in maniera ufficiale al notaro della contrada. La città si riempie, da gennaio in poi, di stand dove tutti possono votare il miglior Papà del Gnoco e i candidati si sfidano in una vera e propria battaglia elettorale.
Le strategie più comuni per vincere di solito sono:
Numero 1. Il pianto: bisogna far credere all’avversario di essere in pochi e poco organizzati. Questo induce il concorrente a prendere alla leggera la campagna elettorale dell’avversario.
Numero 2. Spionaggio: i galoppini si spacciano per alleati di un concorrente per capirne le strategie. Individuata la tattica e le direzioni che l’avversario prenderà, si parte alla ricerca di alleati in altri comitati.
Il Carnevale di Aliano
E come li chiamereste voi quelli che si infiltrano dove non dovrebbero? Cornuti? Beh, visto che stiamo parlando di corna, spostiamoci ad Aliano, in Basilicata, dove al Carnevale la fanno da padrone le Maschere “cornute”.
Della loro comparsa abbiamo pure riferimenti letterari nel libro di Carlo Levi Cristo si è fermato ad Eboli. Durante il carnevale sono numerosissime le persone che sfilano indossando maschere di Demoni e Diavoli. Ma da dove viene questa tradizione? La teoria più diffusa è legata ai rapporti tra i pastori che abitavano la zona e le loro mandrie. Per scongiurare catastrofi, come vedere i propri animali sbranati dai lupi, le persone assumevano sembianze bestiali, con maschere e abiti di pelliccia, per instaurare un maggior legame con le mandrie e domarle meglio, in modo da riuscire non solo a proteggerle ma anche a farsi obbedire in caso di pericoli.
Indossare la maschera di un Demone esorcizzava tutte le paure ancestrali di uomini e donne: la tradizione viene mantenuta tutt’oggi sia per il meraviglioso carattere folcloristico, che per celebrare il ritorno a un modo di vivere a stretto contatto con la natura. E oltre alle maschere cornute, ad Aliano potrete anche gustare delle specialità particolari: Frzzul, sausizz e rafanata. Se non sapete di cosa stiamo parlando troverete presto un approfondimento con ricetta sul nostro blog!

Il Carnevale di Colonia
E per finire facciamo un salto anche all’estero, in particolare a Colonia, in Germania. Pensate che il Carnevale a Colonia inizia l’11 novembre e termina il giovedì che precede la quaresima, con una piccola pausa dall’8 dicembre al 6 gennaio.
Il Carnevale a Colonia, infatti, ha mantenuto lo spirito originale della festività e questo periodo viene considerato “Il tempo dell’allegria”. Sono numerosissime le celebrazioni di carnevale, ma quelle più intense sono nei cosiddetti “giorni pazzi” cioè nella settimana che va dal giovedì grasso al mercoledì delle ceneri con un picco il “Lunedì delle rose”: le persone escono in strada mascherata e tutte si salutano con la frase Kölle Alaaf! , in lingua kölsch. Il costume più comune è quello del pazzo: è una sorta di clown reinterpretato perché di solito si deve indossare una salopette a quadri e in testa si deve mettere una parrucca afro multicolor.
Il giovedì grasso, cioè il primo giorno di Carnevale, si chiama “Il giorno delle donne”: sono quindi le donne a governare la città e la tradizione vuole che ci si alzi il mattino prestissimo, verso le 7, e si inizi mangiando un aringa cruda e salatissima, seguita da un boccale di birra piccola bevuto a goccia. Solo così si può scendere in strada a ballare e divertirsi come vere pazze.
Le maschere tradizionali
Le maschere tradizionali sono tre: la prima è il principe, chiamato anche Sua follia”, che è la personificazione stessa del Carnevale. Indossa una corona con code di pavone, una catena d’oro, una cintura con pietre sfavillanti, pantaloni bianchi e una giacca viola. Ha uno scettro nella mano destra e un bastoncino da “schiaffeggio” nella sinistra. Quest’ultimo è noto come un simbolo dello sciocco, ma in particolare è un simbolo di fertilità.
La seconda maschera è quella del contadino, chiamato “Sua altezza”: rappresenta l’audacia della vecchia città imperiale. Porta spada e flagello, simboli della sua lealtà verso l’impero, e custodisce le chiavi della città.
La terza e ultima maschera principale è quella della fanciulla, chiamata anche “Sua amorosità”: tradizionalmente è interpretata da un uomo, tranne durante il periodo nazista, nel quale fu stabilito che il ruolo potesse essere interpretato solo da una vera donna. La sua corona turrita e la sua verginità simboleggiano l’imprendibilità della città. Indossa inoltre una tunica romana per celebrare l’imperatrice romana Agrippina, nativa di Colonia, che diede il nome alla città nel 250 d.C.: Colonia Claudia Ara Agrippinensium.
Colonia era la nostra ultima tappa nelle tradizioni carnevalesche. Le conoscevate già? Fateci sapere se nel vostro paese c’è qualche ricorrenza particolare o una specialità culinaria. Siamo già con l’acquolina in bocca!
Se non vedi l’ora di partecipare a questi carnevali, è tempo di trovare un costume. Puoi farlo tu seguendo questi consigli oppure