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È la notte del 5 dicembre e tu sei nel letto, sotto al piumone. Sul comodino c’è una tazza vuota, la cioccolata era buonissima e l’hai finita in un sol cucchiaio. Fuori dalla finestra vedi la neve cadere, chiudi gli occhi e stai per finire nel mondo dei sogni.
Un ringhio squarcia il silenzio della notte: sembra quello di un animale. Apri gli occhi e stai immobile, cominci a sudare ma ti ripeti che non è niente, è un cane arrabbiato, un gatto che sta per attaccare un topo. Ti giri piano verso la finestra, la neve ha smesso di cadere, come se anche lei avesse paura di fare rumore.
Poi senti i campanacci. Sono vicini, sai che se ti alzassi dal letto vedresti chi c’è fuori dalla tua porta. È venuto a prenderti. Provi a far finta di nulla, a ripensare a quella volta che hai pianto per quel giocattolo che la mamma non voleva comprarti, hai preso in giro Luca che si è fatto la pipì addosso oggi all’asilo, hai tirato i capelli alla tua sorellina.
Non può essere lui, sei stato bravo in fondo. Non sei un bambino cattivo. Ma i campanacci non smettono di suonare e dalla finestra le vedi. Stanno spuntando piano, vedi la punta. Si sta arrampicando, senti i suoi artigli graffiare il muro. Vedi le corna tutte intere, sono enormi e marroni. Vorresti nasconderti sotto le coperte, scappare via, ma non riesci a muoverti. I campanacci sono fortissimi e non sai perché la tua mamma e il tuo papà non li sentono, ti spaccano i timpani, e la sua risata – oh la sua risata – ti fa rabbrividire nel tuo pigiamino di pile. Ti chiedi dove sono i tuoi genitori ma tanto sai che nemmeno loro ti possono salvare.
Vedi due braccia pelose. La sua faccia è coperta di peli, sembra quella di una capra. Poi sorride e vedi due enormi zanne spuntare tra i denti. Con un artiglio, apre la finestra e nella tua stanza entra un’aria gelida. Lui fa un balzo dentro e ride, scuote il campanaccio che spacca i vetri e nel muro si formano delle crepe. Toglie le coperte e ti solleva per il colletto, senti la sua puzza entrarti nelle narici. In una mano ha una fascina di rami secchi, è pronto a picchiarti.
Sei un bambino cattivo. E il Krampus è venuto a prenderti.
Più luci, più ombre
Il Natale è visto da tutti come una festa piena di gioia e speranza. Le case sono tutte addobbate, ci si ritrova tutti insieme per cenoni e pranzi di famiglia, ci si scambiano regali. In ogni strada e piazza le luci colorate illuminano i volti delle persone e tutti sono più felici.
Ma le luci non arrivano ovunque e più se ne mettono più le ombre si allungano, creando il buio. Se ci pensiamo bene, nella notte di Natale uno sconosciuto entra nelle nostre case dal camino. È un uomo che nessuno ha mai visto ma lui ci controlla tutto l’anno per sapere se abbiamo fatto i buoni. Sa dove abitiamo e cosa abbiamo fatto. Questo è Babbo Natale, ma non c’è solo lui, là fuori.
Il Krampus è uno dei Mostri di Natale. Il nome deriva o dal tedesco krampen, che significa artiglio, o dal bavarese krampn, che indica morto, putrefatto. Secondo la tradizione, il Krampus sarebbe il figlio di Hel, il dio dell’oltretomba nella mitologia norrena. La sua fisionomia però ci ricorda anche i satiri e i fauni greci, o ancora i diavoli cristiani. Ha infatti un viso demoniaco con due enormi corna da caprone, lunghi capelli neri e un corpo molto peloso. Dalle dita partono lunghi artigli affilati e in bocca ha due zanne giganti. Al collo, alla cintura e in mano porta degli enormi campanacci che suona per annunciare il suo arrivo. Lui non entrerà dal camino ma non è comunque piacevole trovarselo alla finestra di notte.
Come è nata la tradizione del Krampus?
Secondo il folclore tedesco, il mattino del 6 dicembre tutti i bambini che si sono comportati bene durante l’anno trovano fuori dalla porta di casa, protetti all’interno di un vecchio scarpone, giocattoli e regali.
Nella notte del 5 dicembre, invece, è il Krampus a dominare: la Krampusnacht (notte del Krampus) è il momento in cui questa figura spaventosa gira per le case per trovare i bambini cattivi e, a suon di bastonate, portarli nella sua tana per trasformarli in piccoli schiavi.
Un’altra possibile versione della tradizione risale a quando, in tempo di carestia, i bambini dei paesi più poveri di montagna si travestivano da mostri, per spaventare gli abitanti più ricchi dei villaggi e rubargli le provviste per l’inverno. Per farlo indossavano piume, pellicce e corna di animali. Una sera, dopo una delle tante scorribande, i ragazzini si ritrovarono in un capanno per distribuirsi il bottino e si accorsero che uno di loro non voleva togliersi la maschera. Provarono a tirare via il travestimento con la forza, ma si accorsero che era un vero demone, con gli zoccoli da capra e il corpo interamente coperto di lunghi peli.
Venne quindi chiamato il vescovo Nicola per esorcizzare questo mostro malvagio. Nicola riuscì a sconfiggere il demone e venne osannato da tutti. Per questo motivo, nei paesi in cui si festeggia ancora la tradizione, una persona si traveste da San Nicola mentre tutti gli altri interpretano i demoni, sfilando per le strade impauriti davanti alla presenza di un santo.
Il Krampus era molto popolare nell’ottocento ma durante la Seconda Guerra Mondiale, la Chiesa Cattolica, approvata dai fascisti, decretò che il Krampus fosse una invenzione dei Socialisti democratici quindi qualsiasi festività a lui legata venne abolita. Negli ultimi anni però, soprattutto nella cultura pop, è stata ripresa come simbolo di ritorno alle vecchie festività pagane, in particolare nei riti per celebrare il solstizio d’inverno.
Al Krampus puoi crederci o no, come a Babbo Natale. Ma Virginia a Babbo Natale ci credeva (e se non sai di cosa stiamo parlando trovi sul blog di Bakeca il primo articolo di questo calendario dell’avvento). Tutti i bambini del mondo ci credono ancora. Se sei un bambino buono la notte del 5 dicembre puoi stare tranquillo ma se, sotto alle coperte, sentirai rumore di campanacci, trema. Scappare è inutile se sei un bambino cattivo. Come Babbo Natale sa trovare sempre tutti, anche lui saprà dove ti sei nascosto.
Sei un bambino cattivo. E il Krampus è venuto a prenderti.
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Credits:
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- Acufeni
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